Grandi dimissioni: cambiare approccio al lavoro dopo la pandemia

da | 27/04/22 | Travel Counseling

Le domande che ci poniamo –sulla nostra condizione di esseri umani– non sono mai troppe e, alla fine di questa pandemia, assistiamo a un risveglio collettivo da un torpore che è durato fin troppo a lungo. 

In particolare, c’è una domanda che ha sfiorato ognuno di noi almeno una volta: amo il mio lavoro? Perché devo lavorare tanto se mi rende infelice? C’è un modo per fare quello che desidero e che sia sufficiente per vivere bene? Ecco spiegato il movimento YOLO, acronimo di You Only Live Once. L’ideatore del movimento è il rapper canadese Drake e il concetto è molto semplice: molla tutto, fai ciò che ami, insegui i tuoi sogni perché si vive una volta sola. 

Cosa significa great resignation? 

Nel 2021 ben il 40% dei lavoratori a livello globale ha deciso di cambiare lavoro e molti hanno deciso di non accettare più un’occupazione in cui non si riconoscono.  Questo fenomeno ha preso il nome di Great Resignation, cioè grandi dimissioni.

In Italia, il fenomeno Great Resignation non è ancora così diffuso, ma inizia a prendere piede con un sensibile aumento di dimissioni volontarie. Nel 2020 – primo anno della pandemia – 1,5 milioni di persone hanno lasciato il proprio posto di lavoro, mentre nel secondo trimestre del 2021 sono stati in 484.000 a dimettersi, in crescita tendenziale dell’85%.

Cos’è cambiato nel lavoro dopo la pandemia? 

In questi anni abbiamo iniziato a porci la domanda: amo il mio lavoro? Mi rende felice? Per intuire una risposta abbiamo dovuto guardarci dentro. I responsabili sono tanti: il covid, il lockdown, la pandemia, il sistema. Sono tutte parole che hanno creato un nemico impossibile da combattere, troppo grande per noi, troppo evanescente per colpirlo.

Il grande nemico invisibile ci ha tolto tutto: la libertà di muoverci, di fare sport, di socializzare,  di essere in contatto reale (e non solo virtuale) con le persone a cui vogliamo bene. Tolto tutto questo a qualcuno è rimasto un grande amaro in bocca e si è chiesto: posso vivere in modo diverso? Posso centrare la mia vita su un lavoro che mi piaccia davvero?

Tutti quelli che si sono sinceramente posti queste domande – e si sono altrettanto sinceramente dati una risposta – hanno generato questo fenomeno che ha portato ad un boom di dimissioni post covid.

Perché le persone lasciano il lavoro dopo la pandemia?

Quali sono le ragioni che spingono le persone a licenziarsi, a volte senza nemmeno un piano B? Le motivazioni sono varie, dalle più semplici alle più complesse: si è diffuso un senso di malessere, maturato durante lo stato d’emergenza e scoppiato successivamente. 

  • Alcuni hanno avvertito un senso di rivelazione, come se ora fosse tutto chiaro, e gli sforzi per tenere in piedi un sistema che non ci piace più fosser insostenibili.
  • C’è chi ha smesso di accontentarsi di paghe troppe basse, poca valorizzazione aziendale e team working poco umani.
  • Altri, invece, hanno iniziato a riflettere sul concetto stesso di lavoro: basta a giornate intere in ufficio, orari impossibili, doppi turni e straordinari non pagati. La vita è anche tanto altro. 
  • Infine c’è chi dopo il Covid ha capito l’importanza del concetto di flessibilità lavorativa, smart working e gestione indipendente del tempo: tutti elementi chiave alla base del fenomeno delle grandi dimissioni.  

È possibile trovare un NUOVO senso nel lavoro?

Sono convinta che si possa, ma l’approccio alla base dovrà essere completamente diverso. Non metto più il lavoro al centro di tutto, anzi, cerco di strutturare il mio lavoro affinché rimanga spazio per tutte le cose sono importanti per me: il benessere, la socialità, le amicizie, il rapporto con la natura (elementi di cui abbiamo sentito una grande mancanza nel periodo della pandemia). Solo così il lavoro diventa una cornice alla mia vita e non il contrario. Ancora meglio se il lavoro che faccio mi piace, così se dovesse prendere più spazio non lo vivrei come una rinuncia al vivere la mia vita ma semplicemente come una dose extra di gratificazione in arrivo.

Counseling e integrazione

Alla base del counseling gestaltico c’è il concetto di integrazione. Questo dovrebbe diventare il nostro mantra post covid: io, il mio essere, le mie passioni, il mio lavoro dovrebbero integrarsi l’uno nell’altro come un grande puzzle che per risultato da… IO: chi sono davvero, i miei valori, cosa mi piace. I miei principi dovrebbero permeare ogni cosa che faccio, lavoro compreso. È finito il tempo di mettersi da parte, rinunciando a tempo e passioni; la pandemia ci ha davvero insegnato che il momento è adesso perché procrastinando rischiamo di perdere tutto. 

Questo cambiamento però non è facile, può essere sospinto da un moto di entusiasmo ma deve comunque essere il frutto di un processo di consapevolezza, altrimenti rischiamo una rovinosa caduta dalla nostra nuvoletta; dal sogno dobbiamo costruire un contatto con la realtà.

Dobbiamo iniziare a chiederci: ha senso la nostra voglia di cambiamento? Dove ci può portare? È una fuga o è un progetto di vita sensato? Ecco, tutte queste domande fanno parte di alcuni passaggi chiave del counseling breve: un metodo per capire l’origine e il senso della nostra spinta al cambiamento. Proprio come per un viaggio, occorre essere preparati, perché con il bagaglio giusto (concreto e metaforico) viaggiamo meglio e andiamo più lontano.

Il desiderio di cambiamento: dal sogno alla realtà con il counseling

Come essere sinceri con se stessi e sentirsi davvero pronti al cambiamento desiderato? Ne parlo nel nuovo corso per la scuola di turismo ispirazionale che è ricco di domande e di tentativi di dare risposte sensate, con lo scopo di creare un lavoro che deve essere a nostra immagine e somiglianza, deve rispecchiarci come persone e deve, soprattutto, renderci felici. Perché se siamo felici contribuiamo a rendere le persone e le situazioni intorno a noi sorgenti di speranza e felicità, e di questo, ora più che mai, abbiamo davvero bisogno.

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