Lavorare dal sud fa bene ai territori e a chi li abita

da | 16/06/21 | Comunicazione Turistica

Cosa significa South Working e qual è il nuovo valore che può dare al termine “lavorare da casa”? Durante la diretta abbiamo chiesto a Elena Militello – presidente dell’associazione South Working e ricercatrice all’università di Messina – se e come il ritorno a lavorare dal Sud possa essere uno strumento per ridurre i divari economici, sociali e territoriali attualmente esistenti in Italia. Se voi puoi recuperare l’intero video in differita, oppure leggerne sotto i passaggi principali. 

Elena Militello terrà una lezione approfondita su questi temi durante l’Inspirational Travel School a Badolato, 6-12 settembre 2021.

Com’è nata e qual è lo scopo dell’associazione South Working – lavorare dal sud?

L’idea è arrivata all’inizio della pandemia, ormai più di un anno fa. A marzo 2020 tantissimi di noi si sono trovati a lavorare per la prima volta da remoto, in ambiti molto diversi da quelli tradizionali del nomadismo digitale. Lavoratori del settore terziario hanno iniziato a sperimentare, costretti dal lockdown, la possibilità di slegarsi dalla sede del datore di lavoro per svolgere le proprie prestazioni. 

All’interno di un contesto difficile dal punto di vista psicologico molti professionisti, giovani lavoratori e lavoratrici, hanno iniziato a ragionare su come trarre qualcosa di positivo da questa fase. Come possiamo trasformare questa sperimentazione in una possibilità per quei territori che, a causa di bassi servizi e infrastrutture, non offrono grandi opportunità lavorative?

Parliamo quindi di territori a rischio spopolamento.

Hanno iniziato le generazioni precedenti a spostarsi e anche quelle di oggi continuano la migrazione per studiare o lavorare. Cito sempre il dato che riguarda la mia condizione di giovane donna siciliana: soltanto 1 donna su 3 lavora. Non ci si può stupire che si vada alla ricerca di opportunità altrove. Il lavoro a distanza ha offerto la possibilità di scardinare questo flusso che sembrava inevitabile e ha permesso ad alcuni lavoratori di immaginare di trascorrere dei periodi lavorando a distanza da queste zone meno attive nel ruolo occupazionale. 

Finita l’emergenza abbiamo iniziato lavorare su una proposta più articolata, che preveda non più di lavorare da casa, ma da spazi di lavoro condiviso, che noi chiamiamo presidi di comunità. Questi spazi possono essere creati sia da enti pubblici che privati e non aiutano solo a superare l’isolamento del singolo ma hanno effetti secondari non trascurabili sulla comunità: 

  • portano a recupero e rigenerazione di spazi del patrimonio culturale del luogo
  • offrono un’occasione di dialogo con le autorità locali
  • creano uno scambio di idee e collaborazioni con la comunità 

Dopo un anno, come sta andando l’associazione? 

L’associazione si è strutturata e abbiamo tre pilastri fondamentali che ci sostengono. 

  • Community: molte persone si sono riconosciute in questo progetto e credono che il South Working sia un progetto realizzabile e possibile, non un’utopia. È uno stile di vita che può sopravvivere al periodo di emergenza. 
  • Ricerca: collaboriamo con università e centri di ricerca che stanno studiando questo fenomeno in modo strutturato, indagando gli effetti su discipline come il management aziendale, il diritto del lavoro, la sociologia, l’urbanistica. 
  • Rete: cerchiamo di essere collettori di idee e moltiplicatori di possibilità tra tutte le realtà del Sud che abbiamo scoperto in questo anno e che spesso non sono in contatto tra loro. 

Stiamo ad esempio attivando una Rete di Comuni per il South Working che sono interessati ad attirare questi lavoratori. A questi comuni chiediamo di assolvere a dei prerequisiti fondamentali: 

  1. una buona connessione internet
  2. mezzi di trasporto e collegamenti che permettono di raggiungere aeroporti o stazioni TAV 
  3. creazione di spazi di coworking che permettano di avere dei luoghi di lavoro attrezzati e che generino socialità e impatto positivo sui territori.

Secondo te è possibile ipotizzare un rientro al sud che non costringa a troppe rinunce?

Il punto non è necessariamente restare, ma avere la possibilità di scegliere se tornare. Se all’inizio sembrava che il ritorno al sud fosse possibile solo per le vacanze o per la pensione, ora è diventata una possibilità più concreta e fa parte dei desideri e delle richieste di alcuni tipi di lavoratori. 

Secondo i dati che avete a disposizione è prematuro parlare di un’inversione di tendenza? 

Dai riscontri che abbiamo avuto nei primi mesi di analisi si tratta di una platea abbastanza ampia. Ovviamente si tratta di lavoratori che possono svolgere le proprie mansioni a distanza. Collaborando con la SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) abbiamo stimato che solo nel 2020 ci siano stati circa 100 mila lavoratori interessati dal fenomeno del South Working. Questo dato è falsato dal l’eccezionalità dell’annata, e ora si registrano resistenze da parte delle aziende a passare a lungo termine a questo tipo di controllo del lavoro. Non ci aspettiamo che i numeri siano sempre questi, ma è un seme che si è piantato e non potrà essere ignorato nei prossimi anni. Non per forza si tratterà di  trasferimenti di residenza, ma già aumentare i periodi in cui queste persone stanno sui territori, animando e lasciando ricchezza e conoscenze può provocare uno stimolo all’ecosistema totale. 

Che cosa impareranno i partecipanti alla Travel School durante la tua docenza? 

  1. Cercheremo di sviscerare gli aspetti interdisciplinari che sono influenzati dal South Working e indagheremo i possibili vantaggi reciproci che possono arrivare a tutti i portatori di interesse: da una parte i lavoratori che hanno desiderio di spostarsi, dall’altra i datori di lavoro che hanno capito come può aumentare la produttività passando dal modello di lavoro basato sulla presenza a un modello impostato per obiettivi, cicli e fasi. 
  2. Valuteremo i potenziali rischi del South Working, tra cui l’isolamento e la mancanza di connessione.
  3. Prenderemo spunto da alcuni casi di studio per vedere in concreto come si realizzano i presidi di comunità e come si inseriscono sui territori, tenendo conto della differenza tra medie città e borghi più piccoli. 
  4. Da questi esempi ricaveremo buone pratiche per gli amministratori, le associazioni locali e proveremo a immaginare le possibilità che hanno i cittadini dal punto di vista giuridico per inserirsi in questi fenomeni di organizzazione del territorio. 
  5. Vedremo infine come il South Working sia iniziato con il lavoro da remoto ma come abbia la capacità di attrarre sul territorio imprenditoria e nuove proposte permanenti. 

Il punto non è necessariamente restare, ma avere la possibilità di scegliere se tornare.

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Una settimana di formazione sul campo, dedicata a chi si occupa di territorio e turismo: cerchiamo insieme nuove soluzioni e idee innovative per valorizzare le destinazioni minori, coinvolgendo le persone che le abitano e invitando nuovi viaggiatori a vivere esperienze con una nuova prospettiva.

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